Utilità, distrazione, opportunità, assurdità. Sono molte le valutazioni che i new media suscitano, ma la riflessione teologica e antropologica - esordisce il vescovo Claudio Giuliodori, presidente della Commissione episcopale per le cultura e le comunicazioni sociali - deve tendere «a capire come può essere valorizzata l'azione liturgica attraverso i nuovi media, non alterata o snaturata». Gli scenari che si aprono all'orizzonte, infatti, sono affascinanti e «il futuro ci chiede di non aver paura di raccogliere la sfida anche sotto l'aspetto liturgico» aggiunge monsignor Claudio Maniago, segretario della Commissione episcopale per la liturgia della Cei, anche se «la visibilità della parola va difesa» e la partecipazione alla liturgia in chiesa «resta un'esperienza unica e irripetibile, senza nulla togliere al futuro».
Circolarità, interattività, immersione sono elementi presenti nella celebrazione, comunque la «centralità del corpo resta fondamentale ». Monsignor Domenico Pompili, direttore dell'Ufficio per le comunicazioni sociali, vede così nei nuovi linguaggi un utile strumento «nella fase di preparazione della celebrazione e per la rielaborazione successiva all'esperienza liturgica». Ciò che va valorizzato, inoltre, è «la logica delle rete, circolare e interattiva» nel dialogo tra Dio e l'uomo durante il rito. Non si tratta di demonizzare le tecnologie, dunque, soprattutto perché il rapporto con la tecnica ha accompagnato da sempre il cammino della liturgia cristiana e dei suoi supporti. Ne tanto meno si vuol giungere a «una semplice rassegna tra buone e cattive pratiche», ricorda il direttore dell'Ufficio liturgico don Franco Magnani. Occorre, invece, capire come rendere un?opportunità «le possibilità inedite» che le nuove tecnologie offrono.
Vivere la liturgia al tempo delle tecnologie digitali, tuttavia, parte da un punto fermo. La liturgia lavora sempre sul corpo, organizzando le sfere dell?emozione, della sensibilità, dell?azione in modo che tali sfere siano la presenza del sacro, del mistero di Cristo. Giorgio Bonaccorso, docente dell?Istituto di Liturgia pastorale di santa Giustina di Padova, perciò il problema non è tanto nell?adoperare o meno i nuovi media digitali, ma nel modo di utilizzarli, al servizio del singolare funzionamento simbolico della liturgia, che insieme attiva e sospende i codici della comunicazione. In ogni caso, l?atteggiamento corretto, per il direttore de La Civiltà Cattolica padre Antonio Spadaro, sarebbe non solamente quello di «difendere la ricchezza propria della liturgia così come siamo abituati a intenderla », ma di comprendere come «il desiderio di Dio emerga prepotente anche in questo nuovo piano di esistenza alla ricerca di forme di espressione». Vanno quindi affinate le sensibilità a livello pratico «per cogliere le esigenze reali ? conclude don Paolo Tomatis della Facoltà teologica dell?Italia settentrionale ? sul piano liturgico per non chiudersi in una visione piatta della partecipazione» ed ecclesiale «perché l?originalità non sia motivo di scandalo, ma sia sorgente di carità e comunione».