UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Per l'Anno della fede: la gioia del credere

La gioia di un agire accessibile La gioia del credere, intesa come possibilità di agire immediato. Coltivando nel cuore la speranza di cieli e terra nuovi, cominciare a porre gesti concreti di carità: un tesoro che si accumula nei cieli.  Dal Catechismo della Chiesa cattolica [1723] La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa […]
7 Novembre 2012
La gioia di un agire accessibile
 
La gioia del credere, intesa come possibilità di agire immediato. Coltivando nel cuore la speranza di cieli e terra nuovi, cominciare a porre gesti concreti di carità: un tesoro che si accumula nei cieli.
 
 
Dal Catechismo della Chiesa cattolica
 
[1723] La beatitudine promessa ci pone di fronte alle scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l’amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova né nella ricchezza o nel benessere, né nella gloria umana o nel potere, né in alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le scienze, le tecniche e le arti, né in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore:
La ricchezza è la grande divinità del presente; alla ricchezza la moltitudine, tutta la massa degli uomini, tributa un omaggio istintivo. Per gli uomini il metro della felicità è la fortuna, e la fortuna è il metro dell’onorabilità… Tutto ciò deriva dalla convinzione che in forza della ricchezza tutto è possibile. La ricchezza è quindi uno degli idoli del nostro tempo, e un altro idolo è la notorietà… La notorietà, il fatto di essere conosciuti e di far parlare di sé nel mondo (ciò che si potrebbe chiamare fame da stampa), ha finito per essere considerata un bene in sé stessa, un bene sommo, un oggetto, anch’essa, di vera venerazione (John Henry Newman, Discourses to mixed congragations, 5, sulla santità).
[1724] Il Decalogo, il Discorso della Montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al Regno dei cieli. Noi ci impegniamo in esse passo passo, mediante azioni quotidiane, sostenuti dalla grazia dello Spirito Santo. Fecondati dalla Parola di Cristo, lentamente portiamo frutti nella Chiesa per la gloria di Dio (cf. Mt 13,3-23).
 
 
La sproporzione
 
Se guardiamo solo all’efficacia delle nostre azioni, le scopriamo drammaticamente limitate. Verifichiamo ogni giorno una sproporzione drammatica tra ciò che possiamo fare e il peso dell’ingiustizia nel mondo. Le parole del Battista invitano a semplici gesti di onestà e condivisione che trovano il loro senso non tanto in un risultato visibile a livello mediatico e sociale, quanto piuttosto nella consapevolezza di agire bene di fronte a Dio. L’agire buono è prezioso per se stesso, agli occhi di Dio, al di fuori del suo risultato sociale. Ma quando un agire buono e fiducioso è condiviso ed esteso, allora davvero anche per la società può avere riflessi positivi.
 
 
Accettare il limite del tempo
 
La nostra cultura tecnologica porta ad una continua ricerca della novità, e all’esigenza di un continuo superamento del limite. Si tratta indubbiamente di un atteggiamento positivo: esso ha portato a grandi realizzazioni, e al miglioramento della vita di milioni di persone. Possiamo vedere anche in questo uno dei “segni dei tempi” positivi e da apprezzare, di cui parlava il Concilio. Abbiamo già però accennato (vedi catechesi dell'8 dicembre) che esiste il pericolo di sviluppare un atteggiamento di pretesa, di dominio assoluto, che conduce in ultima analisi all’ingratitudine: a che cosa serve migliorare continuamente le condizioni di vita, se poi non si è in grado di apprezzarlo, di gioirne, di esserne contenti? A che vale un dominio sulle cose che non procura vera gioia, ma la continua ansia di inseguire l’ultima moda? Vorremmo però ora soffermarci su un secondo pericolo: vale a dire, il rifiuto del limite in quanto tale. O meglio: si rifiuta e si allontana dalla mente e dall’esperienza tutto ciò che fa percepire il limite. E ci si trastulla, al contrario, in tutte quelle esperienze che danno l’illusione di poter superare la finitezza della creaturalità.
 
 
Un agire circoscritto
 
Indubbiamente ogni nostro tentativo di compiere il bene ci conduce a riscoprire i confini della nostra condizione: un genitore vorrebbe il meglio per i propri figli, ma non può sottrarli alle contraddizioni del mondo; chi aiuta i poveri, i malati, si ritroverà sempre una bocca in più da sfamare, un problema che risulta incurabile: più si avanza sulla via della carità, più ci si ritrova come i discepoli di fronte alla folla, prima della moltiplicazione dei pani: “cinque pani e due pesci: che cosa è questo per tanta gente?”. Se si guarda solo al risultato pratico del nostro agire, diventa forte la tentazione di abbandonare il campo, di abbandonare la sfida, per non andare incontro ad una sicura sconfitta.
 
 
La fede riscatta ogni piccolezza preziosa
 
Gianni fa due turni al mese alla mensa Caritas, in una imprecisata città d’Italia. Gianni si rende bene conto che è poco, e che potrebbe fare di più, ma la famiglia è già numerosa, il lavoro è impegnativo. Da lui dipende l’andamento di un settore produttivo, di cui deve render conto al suo datore di lavoro, e da lui dipende la sorte di una decina di persone, che a lui spetta organizzare e dirigere. Gianni non è né un supereroe, né un santo: ma semplicemente un cristiano che ha cercato e trovato una finestra di tempo da condividere con chi non ha un lavoro, non ha una casa, non ha una famiglia: due ore per due volte al mese. Una buona organizzazione permette di coprire tutti i turni, ma il valore più grande è dato da ciò che non si vede e da ciò che non si organizza: Dio che non dimentica “neppure un bicchiere d’acqua, dato nel mio nome”.