UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

25 dicembre – Natale del Signore

I Pastori Spunti biblici Un popoloLa prima lettura della Messa della notte parla di un popolo: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”. La stessa immagine collettiva è riscontrabile nelle altre celebrazioni: “li chiameranno popolo santo, redenti dal Signore” (Messa dell’aurora); “prorompete in canti di gioia, rovine di Gerusalemme”(Messa del giorno). Il popolo di […]
17 Ottobre 2013
I Pastori
 
Spunti biblici
 
Un popolo
La prima lettura della Messa della notte parla di un popolo: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”. La stessa immagine collettiva è riscontrabile nelle altre celebrazioni: “li chiameranno popolo santo, redenti dal Signore” (Messa dell’aurora); “prorompete in canti di gioia, rovine di Gerusalemme”(Messa del giorno). Il popolo di Dio o la città santa esprimono dunque il destinatario della promessa del Natale; nel brano evangelico il suo corrispettivo sono i pastori. Sulla scena del Natale il popolo di Israele non è rappresentato dai sacerdoti, né dai soldati, né dai fedeli osservanti della Legge: ma dalla comunità ben strutturata e consolidata dei pastori.
 
Il segno della luce
Il segno della luce precede l’annuncio. Si compie la profezia: coloro che camminano nelle tenebre, vedono la luce. La scansione narrativa del brano evangelico è di grande importanza per le nostre comunità, chiamate a testimoniare il Natale: prima ancora di annunciare, è importante che si vedano segnali di luce, segnali di bellezza, segni che affascinano e fanno interrogare.
Non si tratta infatti solo di dare spiegazioni, di chiarire significati dottrinali, di proporre contenuti elevati; il Natale ci colpisce innanzitutto con la sua bellezza, una bellezza del tutto particolare, che suscita interrogativi, che può suscitare anche perplessità e timore: come il timore che avvolge i pastori, che avvertono di essere di fronte a una speciale manifestazione di Dio.
Dove è arrivato il segno della bellezza, si può porre la spiegazione e l’annuncio esplicito.
 
In ascolto della Parola
L’annuncio esplicito per prima cosa scaccia il timore: non c’è da aver paura della manifestazione di Dio che l’angelo annuncia. Quindi la parola annuncia un “segno”: un bambino.
I pastori sono chiamati a fidarsi di una voce nella notte che rimanda a un segno di indubbia bellezza e suggestione, ma anche di grande semplicità e povertà.
Un bambino, non un re potente, non qualcosa che si impone con la violenza,  la seduzione o la persuasione occulta. Dopo il lampo di luce, resta solo la parola, la promessa: il segno resta da cercare, camminando nella notte.
Nel vangelo di Luca appare ancora un dinamismo simile: a partire da Maria, che dopo l’annuncio dell’angelo va a visitare Elisabetta, per arrivare a Pietro che getta le reti sulla parola di Gesù (Lc 4, ), o ai lebbrosi che vanno a presentarsi ai sacerdoti obbedendo al solo comando del Maestro. Camminare insieme seguendo la parola costituisce i pastori come figura e anticipazione di un rinnovamento del popolo di Dio: dai margini, dalla periferia in cui erano confinati, si ritrovano al centro, un centro che non è più identificato nella Gerusalemme visibile, ma nel bambino nato da Maria.
 
In cammino verso l’adorazione
All’ascolto fa seguito la visione: i pastori trovano Maria, Giuseppe e il bambino; in seguito raccontano a tutti ciò che hanno “udito e visto”. La scena dell’incontro ha una forte dimensione adorante, che però viene richiamata per via prevalentemente allusiva: l’evangelista descrive ciò che avviene prima dell’incontro, descrive anche ciò che gli fa seguito, ma sospende la descrizione quando si parla del bambino. Un elemento del brano mette in rilievo la dimensione adorante di quel momento: il canto degli angeli, un canto di lode, una dossologia. Cielo e terra hanno trovato un punto di incontro, alla gloria di Dio nell’alto dei cieli corrisponde la pace in terra, per chi è oggetto della benevolenza di Dio.
 
“Noi vedemmo la sua gloria”
Possiamo rileggere il denso e impegnativo testo del prologo di Giovanni, alla luce dell’esperienza dei pastori. Essi potrebbero ben dire: “Noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre”, pieno di grazia e di verità. Si tratta di una realtà profonda, che giunge alla portata anche di persone semplici: “il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi”. Anche noi, oggi, siamo come quei pastori che dormivano all’aperto, senza difese, intenti al loro lavoro, esclusi dai grandi processi decisionali, e anche noi oggi siamo visitati dalla presenza di Dio, che ci dà il “potere di diventare figli di Dio”. La gloria di Dio che risplendeva nel bambino a Betlemme, può risplendere anche quest’anno nelle comunità che lo celebrano, affidandosi alla sua parola di vita.
 
 
Per gli educatori:
L'esperienza del gruppo
 
Alla pari con altri

 
I pastori del racconto evangelico sono sempre citati insieme, come un gruppo. Insieme ricevono l’annuncio, in un dialogo alla pari lo fanno reciprocamente rimbalzare, fino alla decisione di partire. Come un gruppo unico vanno, portando con sé i loro limiti, spinti da una intuizione forse parziale e insufficiente dell’evento che li coinvolge, e tuttavia sufficiente a farli partire e renderli partecipi. Molte, forse la maggior parte delle esperienze educative proposte nelle nostre comunità locali, avvengono in un contesto simile: in un nucleo di persone che, per età, formazione, o altri motivi, stanno alla pari, si percepiscono uguali, o meglio, con pari dignità. Se manca la percezione dell’uguaglianza (tanto più nel nostro contesto culturale) il gruppo tende a dissolversi. È compito del referente o del formatore garantire che la parità venga vissuta nel modo giusto, e gestire l’emergere progressivo delle diversità e delle differenze.
 
Crescere insieme
Vorremmo però sottolineare un aspetto evocato dal racconto evangelico dei pastori: nel gruppo dei pari può avvenire un’autoeducazione, una presa di coscienza, una progressiva apertura. I pastori cominciano ascoltando la voce; poi si interrogano tra loro; di comune accordo emerge la decisione di partire; quasi spontaneamente essi finiscono per diventare annunciatori, divulgando a tutti la notizia di quel bambino. A quel bambino si deve la loro crescita, la loro trasformazione. Anche l’esperienza educativa vissuta insieme è dono di grazia. Si tratta delle stesse dinamiche che dovrebbero emergere in ogni gruppo ecclesiale: l’accoglienza della parola, l’annuncio e il sostegno reciproco, la disponibilità alla crescita personale, l’apertura a una comunione più grande, l’assunzione di una corresponsabilità alla missione.
 
Eliminare le chiusure
Dovremmo chiederci perché a volte ci si blocca di fronte a questo o a quell’altro aspetto. Forse uno degli elementi negativi è la sottovalutazione della pari dignità: ci si riunisce attorno a un bisogno, a un leader carismatico, a un’emozione, ma si crea un dislivello, tra chi guida e chi è guidato, tra chi possiede tutti i segreti e chi non li conosce…
 
Il Natale ci mette alla pari. Abolisce tendenzialmente le distanze tra chi insegna e chi impara, tra chi è responsabile e chi è affidato alle cure di altri; il bambino attenua anche la differenza tra genitori, figli, nonni: tutti sono chiamati allo stesso modo a riconoscerlo e a inginocchiarsi di fronte a lui.
Di fronte al suo amore si scopre la propria grandezza e la propria infinita piccolezza, e si scopre ciò che unisce in comunione profonda, e permette di camminare insieme.