UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Contributo del Centro Nazionale Vocazioni

Il senso forte della vita “La nuova evangelizzazione deve riannunciare il senso forte della vita come vocazione”: sono le parole utilizzate dal documento finale del Congresso Europeo sulle Vocazioni, Nuove Vocazioni per una nuova Europa, tenutosi a Roma nel 1997 (NVNE).È questa una urgenza e una responsabilità che diventano ancor più di rilievo, continua il documento, […]
31 Gennaio 2012
Il senso forte della vita
 
“La nuova evangelizzazione deve riannunciare il senso forte della vita come vocazione”: sono le parole utilizzate dal documento finale del Congresso Europeo sulle Vocazioni, Nuove Vocazioni per una nuova Europa, tenutosi a Roma nel 1997 (NVNE).
È questa una urgenza e una responsabilità che diventano ancor più di rilievo, continua il documento, se teniamo conto del nostro contesto culturale che riduce il futuro di una vita “alla scelta d’una professione, alla sistemazione economica, o all’appagamento sentimentale-emotivo, entro orizzonti che di fatto riducono la voglia di libertà e le possibilità del soggetto a progetti limitati, con l’illusione d’essere liberi” (NVNE 11c). Tutto ciò rischia di delineare una sorta di cultura antivocazionale che produce, di conseguenza, un modello di uomo senza vocazione. È quanto sostengono gli Orientamenti Pastorali della CEI, Educare alla vita buona del Vangelo: “Nel nostro tempo, è facile all’uomo ritenersi l’unico artefice del proprio destino e pertanto concepirsi senza vocazione. Per questo è importante che nelle nostre comunità ciascuno impari a riconoscere la vita come dono di Dio e ad accoglierla secondo il suo disegno d’amore” (23).
Oggi, l’annuncio del senso vocazionale della vita, richiede di escludere due modalità di concepire la vita: la vita come destino e la vita come caso.
L’idea della vita come destino, decisamente entrata nella nostra cultura (vedi l’importanza che viene data all’oroscopo, ai maghi e cartomanti di turno…), porta a considerare l’uomo come un elemento del grande ingranaggio del cosmo: la libertà non esiste o comunque non ha rilevanza, perché tutto è scritto da sempre e l’uomo non è che determinato e condannato a subire ciò che il destino ha riservato per lui. Tutto si ripete e il mondo è una grande ruota che gira, che gira…
L’altra concezione, ugualmente diffusa, è quella della vita come caso. Per molti è un caso che siamo nati, un caso che ci capitino certe cose e non altre, un caso le esperienze che facciamo e le persone che conosciamo, un caso che un giorno moriremo… L’uomo è senza direzione, non ha degli obiettivi ultimi da raggiungere, non ha un centro attorno a cui costruire la propria vita.
Sia il destino che il caso cancellano il senso della vita perché eliminano la libertà dell’uomo e lo rendono prigioniero della incapacità/impossibilità di determinarsi in rapporto alla sua esistenza, inoltre eliminano Dio dalla scena su cui si gioca lo svolgimento della vita.
 
 
Noi crediamo che la vita è vocazione: dono ricevuto
 
Contrariamente alle due precedenti concezioni, intendere la vita come vocazione significa darle un senso: mantenendo insieme libertà umana e progettualità divina, la vita ha direzione, significato, ragion d’essere: la vita di ciascuno è amore ricevuto. Nessuno ha scelto di nascere; nessuno ha chiesto a Dio o ai propri genitori di diventare un essere vivente. Ognuno è destinatario di un dono che è la vita; un dono semplicemente ricevuto che, come tale, domanda di essere donato.
La consapevolezza di essere dentro ad un progetto di amore è ciò che può dare unicamente significato all’esistenza, mentre la convinzione di essere una particella di un immenso ingranaggio (destino cieco) o di essere qualcosa che non si sa dove sia diretta ne da dove venga (caso), è non senso e fallimento.
 
 
Noi crediamo che la vocazione è vita: bene donato
 
La nostra vocazione è vita nel senso che siamo chiamati a vivere secondo la logica del dono ricevuto che domanda di essere donato. C’è un dono ricevuto (la vocazione, cioè la vita) che nessuno può negare di possedere; c’è un dono ricevuto presente in ogni persona che va riconosciuto e non è possibile misconoscere.
Donare questo amore ricevuto è vivere la propria vita. Diversamente non faremmo altro che contraddire noi stessi in quello che ci costituisce nel più profondo del nostro essere. Dunque, la vita di ogni vivente inizia con l’atto di ricevere un dono, e da quel momento ognuno è chiamato a far sì che questo dono sia “messo in gioco”, perché la sua vita viva e non muoia nella logica del destino o del caso.
Ogni pastorale o attenzione vocazionale, ogni preghiera (e ogni preghiera per le vocazioni) dovrebbe nascere da un cuore capace di riconoscere in ogni essere umano la presenza di un dono ricevuto, che è prezioso perché coincide con la vita stessa, chiamato ad essere donato nella realizzazione di un progetto d’amore. Il discernimento vocazionale aiuterà, poi, a scegliere ciò che è meglio per me, ciò che meglio mi permetterà di realizzare la vocazione della vita. Ma questo è piuttosto “secondario” perché potrò anche scegliere un itinerario piuttosto che un altro, uno stato di vita oppure un altro, ma non potrò non scegliere di vivere la vita come vocazione.
Nessun cammino vocazionale può mettersi in moto se non ci si scopre come creature amate da Dio. Certamente creature che vivono e manifestano il limite, il fallimento o il peccato, ma pur sempre depositarie di un dono d’amore immenso che il Signore ci ha fatto: la vita. Un dono prezioso che ci riempie e dovrebbe generare in noi ogni riconoscenza e soprattutto il desiderio di fare di questa vita un tesoro da spendere per gli altri, a motivo dell’Altro.