UFFICIO LITURGICO NAZIONALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Lavoro e festa

Contributo dell'Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro Giorno della Chiesa, giorno dell’uomo, giorno della famiglia  «Non è assolutamente indifferente né efficace parcellizzare il tempo del riposo in base alle leggi del mercato. La domenica, che nella tradizione del nostro Paese è dedicata alla famiglia e, se cristiana, al Signore nella comunità, non può essere […]
12 Novembre 2012
Contributo dell'Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro
 
Giorno della Chiesa, giorno dell’uomo, giorno della famiglia
 
 
«Non è assolutamente indifferente né efficace parcellizzare il tempo del riposo in base alle leggi del mercato. La domenica, che nella tradizione del nostro Paese è dedicata alla famiglia e, se cristiana, al Signore nella comunità, non può essere sacrificata all’economia, indebolendo anche in questo modo un istituto che sempre di più si conferma, insieme alla persona, come la prima risorsa di una società che voglia essere non una moltitudine di individui ma un popolo coeso e solidale»[1].
La società agricola aveva mantenuto un rapporto lavoro e festa molto forte e attento ai ritmi del riposo e del lavoro di cui godevano indirettamente gli animali e la terra stessa. Pensiamo alla mirabile descrizione leopardiana contenuta ne Il sabato del villaggio, dove “la donzelletta”, “la vecchierella”, “la squilla”, “i fanciulli”, “il zappatore” e il “legnaiuol, che veglia nella chiusa bottega” si apprestano a vivere il “dí della festa”. Con la progressiva industrializzazione del lavoro, la società ha gradualmente perso il rapporto tra giorno feriale e giorno festivo.
Anche Italo Calvino, nel suo racconto L’avventura di due sposi, descrive una coppia che vive nella sua carne il diverso orario di lavoro, tanto che il giovane operaio, Arturo, arriva «a casa tra le sei e tre quarti e le sette, cioè alle volte un po’ prima alle volte un po’ dopo che suonasse la sveglia della moglie, Elide»[2], che si apprestava ad andare in fabbrica come tutti i giorni.
Già papa Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum richiamava il dovere di riconoscere nella vita sociale gli obblighi imposti dalla legge di Dio e di rispettare i valori religiosi, ai quali si ricollega il riposo festivo a vantaggio dei lavoratori. Il riposo festivo scaturisce dalla «dignità dell’uomo di cui Dio stesso dispone con grande rispetto»[3].
La Chiesa ha espresso la sua attenzione nei confronti del lavoro e del riposo festivo anche attraverso la costituzione di cappelle nei luoghi della sofferenza, gli ospedali, e nei luoghi dei trasporti. Si è assicurata così un’assistenza religiosa agli uomini e alle donne che sperimentavano le difficoltà più diverse dovute alla malattia e alla precarietà del viaggio. Fatta salva l’attenzione ai lavoratori (imprenditori e dipendenti) nei luoghi puramente commerciali, occorre evitare di creare in essi delle cappelle, considerato che siamo di fronte a luoghi dove è prevalente la logica mercantile che rischia di corrompere la proposta evangelica.
Non dobbiamo poi dimenticare il valore sociale e comunitario del riposo festivo: si fa festa insieme, come popolo, non come singoli individui. La festa rigenera la comunità e la comunità è rigenerata dalla festa, che è occasione e condizione di gioia, serenità e riposo per tutti, non solo per i cristiani.
Una maggiore armonizzazione tra i tempi del lavoro e quelli dedicati alle relazioni umane e familiari favorisce un tenore di vita dignitoso, basato su stili adeguati alle proprie possibilità e sui rapporti interpersonali e non sulla ricchezza economica individuale. Secondo questa prospettiva «grande giovamento potrà venire da un adeguato approfondimento della dottrina sociale della Chiesa, sia potenziando la formazione capillare sia proponendo stili di vita, personali e sociali, coerenti con essa»[4].
L’attuale società, che stabilisce sempre più il primato dell’avere sull’essere, del fare sul ricevere, dell’economia sulle persone, ha imposto i suoi ritmi di produzione per soddisfare bisogni inutili e indotti in nome di un consumismo sfrenato che, in fin dei conti, “consuma” l’uomo nel suo essere, nelle sue relazioni, nei suoi luoghi, nel suo tempo e infine lo lascia depresso, solo, senza casa, senza storia e senza Dio. L’eccessivo lavoro domenicale incrementa i problemi familiari e i già fragili equilibri in quanto impedisce di riunirsi per «ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale»[5]. Occorre custodire il rapporto armonioso tra i tempi della famiglia e i tempi del lavoro. La famiglia è la scuola in cui si apprendono le leggi del lavoro e il lavoro è «il fondamento su cui si forma la vita familiare»[6].
Ciò comporta l’impegno a offrire il proprio contributo affinché «la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie»[7].
Non si tratta di contrapporsi semplicemente ai centri commerciali o di invitare i cattolici a disertarli nei giorni festivi, anche in considerazione del fatto che la semplice apertura in questi giorni non aumenta i consumi, semmai li sposta da un giorno all’altro. Occorre elevare la qualità della vita nelle nostre comunità parrocchiali e favorire legami personali virtuosi in esse.
Se nelle nostre comunità si vivono rapporti cordiali, sereni, accoglienti, fraterni non ho la necessità di “stordirmi” nei luoghi del “tutto e subito, tutto è commercio, tutto è in vendita”. Per favorire la qualità dell’esperienza ecclesiale e la cordiale accoglienza abbiamo sempre bisogno di una liturgia «seria, semplice e bella, che sia veicolo del mistero, rimanendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alleanza di Dio con gli uomini»[8].
Ogni assemblea cristiana, «sacramento della presenza di Cristo nel mondo, deve saper esprimere in se stessa la verità del suo “segno”: nell’amabilità dell’accoglienza che sa fare unità fra tutti i presenti; nell’intensità della preghiera che sa aprire alla comunione con tutti i fratelli nella fede, anche lontani; nella generosità della carità che sa farsi carico delle necessità di tutti i poveri e dei bisognosi, il cui grido la raggiunge da ogni parte della terra; nella varietà dei ministeri, infine, che sa esprimere tutta la ricchezza dei doni che lo Spirito effonde nella sua Chiesa e i diversi compiti che la comunità affida ai suoi membri»[9].
Per noi cristiani, la Domenica è il giorno della Chiesa, il giorno dell’uomo e il giorno della famiglia, in esso si vive insieme «il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche nella partecipazione alla Santa Messa». La Domenica è «come l’oasi in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra sete di Dio»[10].


[1] Card. Angelo Bagnasco, Prolusione, 23 gennaio 2012, n. 8
[2] Italo Calvino, L’avventura di due sposi, in I racconti, Einaudi, Torino 1976.
[3] Leone XIII, Lettera enciclica Rerum novarum, 15 maggio 1891, n. 32.
[4] Conferenza Episcopale Italiana, Nota pastorale “Rigenerati per una speranza viva” (1 Pt 1,3): Testimoni del grande ‘sì’ di Dio all’uomo, 29 giugno 2007, n. 12.
[5] Benedetto XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate, 29 giugno 2009, n. 63.
[6] Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Laborem exercens, 14 settembre 1981, n. 10.
[7] Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti pastorali Educare alla vita buona del Vangelo, 4 ottobre 2010, n. 50.
[8] Conferenza Episcopale Italiana, Orientamenti pastorali Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 29 giugno 2001, n. 49.
[9] Conferenza Episcopale Italiana, Nota pastorale Il Giorno del Signore, 15 luglio 1984, n. 9.
[10] Benedetto XVI, Omelia al VII Incontro Mondiale delle Famiglie, 3 giugno 2012.
 
 
 

Contributo dell'Ufficio Nazionale per la pastorale del tempo libero, turismo e sport

 

E’ apparsa la grazia di Dio 
 
C’era una volta il Natale “da vivere con i tuoi”: un ritorno collettivo alle proprie radici, ai luoghi dell’infanzia, alla famiglia di origine, alla comunità di un tempo. La mobilità dell’uomo contemporaneo ha modificato anche questa abitudine. Anche il tempo di Natale in molti casi diventa tempo di vacanza, di turismo, di viaggio. ”Nell’odierna società dei consumi, questo periodo subisce purtroppo anche una sorta di "inquinamento" commerciale, che rischia di alterarne l’autentico spirito, caratterizzato dal raccoglimento, dalla sobrietà, da una gioia non esteriore ma intima.” Con queste parole anche Benedetto XVI ha voluto lanciare un segnale per distinguere l’evento da tutto ciò che lo svilisce, lo umilia, lo nasconde. Infatti con il Natale ridotto a favola ci può stare tutto e il contrario di tutto. Se è un mistero, come lo è, tutto cambia: diventa segno di contraddizione, di rovina e di resurrezione, di speranza, di energie nuove, di una visione della vita diversa. Ci sono comunque degli elementi che possono non “rovinare” ma “integrare” vicendevolmente la celebrazione del Natale e la permanenza in luoghi di villeggiatura. “Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto…”. Accogliersi è la prima forma di integrazione tra residenti ed ospiti. La comunità cristiana ospitante esprime in diverse maniere il suo stile di accoglienza: innanzitutto gli “spazi ecclesiali” sono spazi aperti in cui il visitatore percepisce il territorio che incontra come dimora, casa comune, spazio sociale, luogo di fede e di testimonianza. Per questo viene informato, invitato, accolto, valorizzato per il breve tempo che passa insieme. A Natale poi la comunità residente può valorizzare diversi elementi: la bellezza (che significa anche stupore, meraviglia, incanto) e la minorità. La bellezza che sono le opere d’arte, la cura particolare della Liturgia, i momenti di preparazione immediata, la bellezza delle tradizioni, dei momenti di incontro, di contemplazione e di festa. La “minorità” in senso francescano non vuol dire “inferiorità” ma valorizzazione di elementi e valori spesso rimossi che possono essere riscoperti nel fare vacanza e diventano valore aggiunto: la sobrietà, la cordialità, la simpatia e l’empatia, l’essenzialità, il gusto dell’incontrarsi e dello stare insieme, il raccontare, pregare, contemplare, ammirare, stupire.
 
Atteggiamenti
La comunità residente, nell’ottica dell’evangelizzazione del variegato mondo turistico, offre quello che è e che ha (la liturgia, la pratica sacramentale, la catechesi e la formazione, la pietà popolare, le sue tradizioni, le sue feste, le sue “bellezze” artistiche) e le diffonde con gli strumenti della comunicazione di cui è dotata nei luoghi e negli spazi turistici favorendo così l’integrazione e la condivisione gioiosa delle festività.